lunedì 18 aprile 2016

abbiamo solo tempo




ABBIAMO SOLO TEMPO

corso di teatro per i senzatetto



Arrivano alla spicciolata, profumati, timidi e un po' intimiditi, imbarazzati…
Mi pare di vedere, nei loro occhi, una luce di soddisfazione, una briciola di gioia, un entusiasmo infantile, trattenuto.
Nei giorni scorsi hanno avuto un po’ di paura per colpa di questo incontro: per comunicarglielo la loro tessera di utenti è stata bloccata cosicché, chiunque di loro si presentasse al guardaroba per un cambio pulito, o in mensa per un pasto, o alle docce per lavarsi un po', potesse ricevere, per mano dei volontari, un biglietto con su scritto data, orario e luogo del primo appuntamento del corso di teatro per gli utenti di OSF 
A vedere la loro tessera bloccata il primo pensiero dev'essere stato: "perché mi bloccano la tessera? Che cosa ho fatto?" e immagino l'accavallarsi di foschi presagi e il sollievo quando hanno ricevuto l’invito. 

Oggi è il primo incontro, un incontro che alcuni di loro hanno atteso per settimane.
Fa un caldo fuori stagione; nell'ingresso della zona accoglienza ci sono 5 sedie, 7 persone e c'è afa. 

Li immaginavo diversi, più scomposti, più protagonisti, più visibilmente "senzatetto".
Di sicuro li immaginavo più arrabbiati.

E invece sono miti, composti, educati.
Mi danno del lei, mi chiamano "dottoressa", anche se molti di loro mi vedono ogni venerdì, in mensa, da anni.
- Aspettiamo qualche minuto, in attesa dei ritardatari, va bene?

Cenni lievi, sguardi bassi, silenzio.

- Potete aspettare? Avete tempo?
Uno di loro alza la testa e dice: 

- Ho solo quello. Il tempo.

Siamo solo sette, dentro la stanza, dietro allo sportello dell’accoglienza, dove sono in coda altri utenti per ottenere la tessera o per rinnovarla. Una tessera che è la loro chiave per accedere a qualsiasi servizio (mensa, guardaroba, docce, ambulatori).

Il frate va e viene con i suoi passi veloci, scattante come un grillo che non parla, ma agisce. 
Siamo solo sette, ma siamo mille. 
Mille storie dietro ogni volto, mille fatiche su quelle spalle curve, mille dolori su quelle bocche senza denti.

Inizio a presentarmi, a raccontare chi sono, qual è il mio percorso, la mia storia di attrice e di insegnante, e mentre parlo di Ronconi, del Piccolo Teatro, e delle varie esperienze, mi rendo conto che a loro importa poco: la mia professionalità non è in dubbio stamattina. Perlomeno non per loro e non oggi.

E allora taglio corto e comincio a parlare di ciò che faremo, di come si svolgerà il corso, degli obiettivi.
Involontariamente uso una parola che li illumina, li fa sorridere, alzare la testa e guardarmi negli occhi. 
Uso il plurale "noi".

Il primo gradino nella scala della loro fiducia l'ho fatto. 

Mi chiedono se servirà, nella vita, questo corso. 

È esattamente quello che penso. 

Il teatro serve alla vita, non potevano farmi domanda migliore, più pertinente. 

Mi gaso, letteralmente.

- Si serve! Serve alla vita, per imparare a relazionarsi, a conoscere le proprie emozioni e quindi a dominarle, a comunicare meglio, in maniera più efficace. Impareremo a parlare non solo con la bocca, ma con tutto il corpo, a presentarci al meglio, a tirar fuori tutte le vostre peculiarità e a valorizzarle. Vedrete il teatro ha tanti, bellissimi, effetti collaterali.

Ad ogni mia parola, i loro sguardi si fanno più attenti, più vividi, le loro schiene più dritte, percepisco la loro attenzione piena di vita.

- Potremo fare uno spettacolo su di noi? Sa, dottoressa, l’OSF ci aiuta tanto, ma è un rapporto a senso unico. Non abbiamo mai occasione di far sentire la nostra voce.


- Certo, lo scriveremo insieme, ognuno potrà raccontare la propria vita, la propria storia.

E con questo sono conquistati. Attendono la prossima data, hanno fretta d’iniziare, di esprimersi e, anche se, - li avviso - il confronto con il pubblico arriverà tra mesi di lavoro insieme, questa prospettiva li soddisfa molto. 

Fissiamo il prossimo incontro e ci salutiamo. Mi stringono la mano, sorridono.

- A presto!

Iniziamo un viaggio che, ogni settimana, ci porterà in Egitto, Marocco, Angola, Sicilia, Iran… 
Un giro del mondo, un giro di vite che so già mi insegnerà moltisimo. 
Mi sento febbrile dall’eccitazione e dalla responsabilità.

 Saprò trasmettere loro, con la pratica, ciò che può il teatro, così come dicono le meravigliose parole di Orazio Costa:
“Diverrete poesia aitante, metamorfosi perenne dell'io inesauribile, soffio di forme… tesi alla rivelazione di quel che l'uomo è: angelo della parola, acrobata dello spirito, danzatore della psiche, messaggero di Dio e nunzio a se stesso e all'universo di un se stesso migliore.“? 
Riuscirò a far capire a ognuno di loro che ciò che hanno non è solo il tempo?
Me lo auguro. 
Intanto, al lavoro, ché tra poco si inizia!